Il volontario è secondo la definizione contenuta nell’l’art. 17 del D.Lg.vo 117/2017 (c.d. Codice del Terzo Settore – C.T.S.) “una persona che, per sua libera scelta, svolge attività in favore della comunità e del bene comune, anche per il tramite di un ente del terzo settore, mettendo a disposizione il proprio tempo e le proprie capacità per promuovere risposte ai bisogni delle persone e delle comunità beneficiarie della sua azione, in modo personale, spontaneo e gratuito, senza fini di lucro, neanche indiretti, ed esclusivamente per fini di solidarietà”.
Si tratta di una figura tipo, estesa a tutti gli enti del terzo settore e non soltanto alle organizzazioni di volontariato – a differenza di quanto era previsto in passato dalla L.266/91 ora abrogata; ha inoltre un carattere generale perché non si riferisce soltanto al volontariato organizzato ma – come si desume dall’inciso “anche per il tramite di un ente del terzo settore “ – comprende pure il volontariato individuale, a conferma del fatto che il legislatore riconosce il valore universale della partecipazione e della solidarietà anche a prescindere dall’ambito degli enti del terzo settore (ETS).
Quali sono le caratteristiche?
La figura del volontario si caratterizza per questi tratti essenziali:
- spontaneità della prestazione
- assenza di fine di lucro
- fine di solidarietà
- gratuità della prestazione
In particolare, l’art.17 comma 3 riconferma il divieto assoluto e incondizionato di ricompensare l’attività del volontario, anche da parte del beneficiario.
E’ ammesso però il rimborso delle spese purché siano:
- predeterminate dall’ente per le modalità, condizioni e limiti massimi (con delibera e/o regolamento)
- effettivamente sostenute;
In definitiva sono ammessi i soli rimborsi c.d. piè di lista, per attività autorizzate dall’ente e nei limiti predeterminati mentre la possibilità di corrispondere rimborsi autocertificati dal volontario, e quindi senza la necessaria acquisizione dei documenti giustificativi da parte dell’ente, è limitata entro i limiti massimi fissati dalla norma pari a 10 euro giornalieri e 150 euro mensili .
Si tratta di una norma di semplificazione: per i piccoli importi il volontario non dovrà esibire le pezze giustificative all’ente ma potrà autocertificarle, attestando a pena di false dichiarazioni, di aver sostenuto quelle spese (e quindi in caso di contestazioni deve poterne dare dimostrazione).
In ogni caso, per ribadire il concetto di gratuità del rapporto ed evitare che la prestazione del volontario venga remunerata sotto forma di rimborsi spese, il C.T.S. prevede espressamente all’art. 17 comma 4 il divieto di rimborsi spese di tipo forfetario.
Inoltre, allo scopo di evitare abusi, è prevista l’incompatibilità della qualità di volontario con qualsiasi forma di rapporto di lavoro subordinato o autonomo e con ogni altro rapporto di lavoro retribuito con l’ente di cui il volontario è socio o associato o tramite il quale svolge la propria attività volontaria: la regola è generale e vale per tutti gli ETS, salvo per le organizzazioni provinciali di soccorso regolate dalle leggi delle province autonome di Trento e Bolzano (ad es. Croce Bianca).
A completare il quadro, la norma prevede l’obbligo di iscrivere in apposito registro i volontari che svolgano la loro attività in modo non occasionale: è ammessa comunque l’attività del volontario occasionale che non andrà iscritto al registro ma, si ritiene, rimane comunque soggetto all’incompatibilità dei rapporti di lavoro.
Analogamente a quanto già previsto dalla L.266/91, l’art. 18 della Codice prevede l’obbligo di assicurare i volontari contro gli infortuni e le malattie connessi alo svolgimento dell’attività di volontariato nonché per la responsabilità civile verso i terzi.
Come si distingue il volontario dal lavoratore? Cos’è il lavoro gratuito?
L’opera prestata dal volontario si traduce in pratica in una prestazione lavorativa ma la fondamentale differenza tra la prestazione del volontario e la prestazione del lavoratore sta nella causa del rapporto instaurato con l’ente: non lo scambio tra lavoro e retribuzione (secondo le tipologie previste dal Codice Civile: art.2094 c.c. per il lavoro subordinato e art.2222 c.c. per il lavoro autonomo) ma la comunanza di scopi non lucrativi e di finalità solidaristiche.
Si parla in questi casi di lavoro gratuito, categoria elaborata dalla giurisprudenza, con orientamento consolidato già dagli anni ’80: fermo il principio che ogni attività oggettivamente individuabile come prestazione di lavoro si presume effettuata a titolo oneroso, si è ammessa la possibilità di configurare un rapporto diverso, instaurato affectionis vel benevolentiae cause ovvero in virtù di un vincolo familiare, di cortesia, di affetto o perché vi sia un rilevante e preminente interesse del prestatore per le motivazioni ideali, religiose, spirituali, di tipo benefico o di solidarietà che giustifica lo svolgimento della prestazione a titolo gratuito.
Rimane comunque ferma la presunzione di onerosità di fronte ad una prestazione che oggettivamente sia riconducibile al lavoro e dunque, in caso di contestazioni , sarà l’ente destinatario della prestazione a dover fornire in giudizio la prova contraria dimostrando l’esistenza di una delle cause giustificatrici la gratuità del rapporto.
In relazione all’attività di volontariato Cass.civ.sez.lav., n.12964/2008, resa nella vigenza della L.266/91, ha affermato che non è sufficiente utilizzare la denominazione di volontario per escludere la sussistenza di un rapporto di lavoro: “Il fatto che la legge n.266/91 sancisca che la qualità di volontario sia incompatibile con qualsiasi forma di rapporto di lavoro subordinato o autonomo non esclude che in rapporto di lavoro possa essere dissimulato da un rapporto di volontariato, a seconda del suo atteggiarsi di fatto così.
La Cassazione è tornata più di recente sul tema, con la decisione n.7703 del 28.3.2018 affermando, seppure incidentalmente, che nemmeno nell’ambito degli enti del terzo settore possa ammettersi una presunzione di gratuità delle prestazioni rese, sul presupposto che il nuovo codice contiene norme – come l’art.16 sul diritto al trattamento economico e normativo non inferiore a quello previsto dai CCNL – che regolano (e quindi ammettono) l’instaurazione di rapporti di lavoro nel terzo settore; in senso contrario autorevoli commentatori della materia ritengono invece che il Codice del Terzo Settore avrebbe tipizzato la figura del volontario e quindi introdotto la presunzione di gratuità del rapporto.
In ogni caso è sempre opportuno formalizzare la qualifica di operatore volontario – che oggi, con la riforma, potrà essere attestata anche dall’iscrizione al registro dei volontari non occasionali – acquisendo in via preventiva un’espressa dichiarazione del prestatore per dar conto delle motivazioni e delle finalità di solidarietà dallo stesso perseguite, che giustificano la gratuità e quindi la piena riconducibilità del rapporto nell’ambito del volontariato.
Che ruolo assumono i volontari nelle O.d.V. e nelle A.P.S.?
Per queste particolari tipologie di enti del terzo settore la definizione di volontario assume un ruolo centrale perché la prevalenza dell’opera dei volontari rispetto all’apporto di dipendenti e collaboratori retribuiti è prevista come elemento qualificante.
Infatti l’art. 32 per le organizzazioni di volontariato e l’art. 35 per le associazioni di promozione sociale prevedono che tali enti per lo svolgimento delle attività devono avvalersi in modo prevalente dell’attività di volontariato dei propri associati o, negli enti di secondo livello, delle persone aderenti agli enti associati.
E’ consentito ad entrambe le tipologie di assumere dipendenti o di avvalersi di prestazioni di lavoro autonomo o di altra natura, nel rispetto di specifiche condizioni.
Per le O.d.V.: esclusivamente nei limiti necessari al loro regolare funzionamento oppure nei limiti occorrenti a qualificare o specializzare l’attività svolta;
per le A.P.S.: solo quando ciò sia necessario ai fini dello svolgimento dell’attività di interesse generale e al perseguimento delle finalità, e quindi in termini più ampi rispetto alle organizzazioni di volontariato.
Le A.P.S., a differenza delle O.d.V., possono instaurare rapporti di lavoro dipendente, autonomo o di altra natura anche con i propri associati e quindi possono remunerare anche gli associati per le attività prestate, purché non siano volontari, attesa la generale incompatibilità della qualifica di volontario con quella di lavoratore remunerato.
Nel C.T.S. infine, per concretizzare il concetto di prevalenza dei volontari, sono individuati dei limiti precisi nel numero dei lavoratori impiegati nell’attività:
- per le O.d.V. non può essere superiore al cinquanta per cento del numero dei volontari;
- per le A.P.S. non può essere superiore al cinquanta per cento del numero dei volontari o al cinque per cento del numero degli associati.
Il criterio dovrebbe ragionevolmente interpretarsi in termini qualitativi, ovvero in base al concreto apporto dei volontari rispetto a quello dei lavoratori e non in termini quantitativi, cioè “per teste”: perché è evidente che un numero rilevante di volontari che magari si dedichi all’attività poche ore al mese non andrebbe necessariamente ad alterare il principio di prevalenza rispetto all’apporto dei lavoratori.
Volontariato e compensi sportivi dilettantistici
In ambito sportivo dilettantistico valgono invece le disposizioni dell’art. 67 comma I lett.m) t.u.i.r. che, come noto consentono alle A.S.D. iscritte al Registro CONI di erogare indennità, premi, rimborsi spese forfetari e compensi nell’esercizio diretto di attività sportiva dilettantistica o per le collaborazioni coordinate e continuative a carattere amministrativo-gestionale di natura non professionale, che, nel rispetto delle condizioni previste dalla norma, costituiscono redditi diversi, non soggetti ad oneri previdenziali e – nei limiti del tetto annuo di euro 10.000 per percipiente previsto dall’art. 69 comma 2 t.u.i.r. – non soggetti a imposizione fiscale. Per un maggiore approfondimento si rinvia al mio contributo su questo portale Compensi Sportivi Dilettantistici: Proviamo A Fare Un Decalogo
I rimborsi spese documentati relativi al vitto, all’alloggio, al viaggio e al trasporto sostenute in occasione di prestazioni effettuate fuori dal territorio comunale (riferito al domicilio del percipiente) non concorrono alla formazione del reddito e rimangono esclusi dunque dall’ammontare della soglia di imponibilità: si tratta dei c.d. rimborsi piè di lista, documentati e autorizzati dal sodalizio in occasione di trasferte fuori comune.
Si tratta di disposizioni compatibili con il Codice del Terzo Settore?
Innanzitutto va chiarito che per le ASD – nonostante lo sport dilettantistico sia compreso espressamente tra le attività di interesse generale in cui operano gli Enti del Terzo Settore (all’art. 5 lett.f D.Lg.vo n.117/17) – non sussistono automatismi né obblighi di iscrizione al Registro Unico Nazionale del Terzo Settore (c.d. RUNTS) ma eventualmente ragioni di opportunità da valutare caso per caso da parte di ciascun sodalizio, che sarà pertanto libero di conseguire o meno anche la qualifica di E.T.S.
Quindi per la generalità dei sodalizi sportivi che decidano di continuare ad operare esclusivamente come A.S.D. non si pone alcun problema di compatibilità: nel rispetto delle condizioni richieste dalla norma, potranno pacificamente continuare ad applicare l’art. 67 comma I lett.m) e riconoscere le spese a piè di lista per le trasferte fuori comune come previsto dall’art. 69 comma 2.
Per i sodalizi che invece decidano di entrare nel Terzo Settore valgono le considerazioni seguenti.
La doppia iscrizione al Registro Coni e al RUNTS è pacificamente ammessa e già riconosciuta anche dall’Agenzia delle Entrate con la Circolare n.18/E del 1.8.2018 cui si rinvia per gli effetti sull’applicazione delle disposizioni fiscali.
Quanto alla tipologia di E.T.S., si ritiene comunemente che la forma dell’A.P.S. costituisca il modello maggiormente adatto alla struttura organizzativa dei sodalizi sportivi, soprattutto quando affiliati ad Enti di Promozione Sportiva che siano anche riconosciuti come Enti Nazionali di Promozione Sociale e quindi avviati a diventare Reti Associative nell’ambito del Terzo Settore.
Quindi per tali ipotesi, A.S.D. che consegua anche la qualifica di E.T.S.-A.P.S., si pongono due questioni:
a) la compatibilità dei compensi o dei rimborsi forfetari in ambito sportivo dilettantistico con il generale divieto di erogare rimborsi spese forfetari ai volontari stabilito dal Codice del terzo Settore (art. 17 comma 4 D.Lg.vo n.117/2017);
b) l’incidenza dei collaboratori sportivi ai fini della qualificazione dell’ente coma APS.
Il primo aspetto secondo autorevoli autori della riforma come il Prof. Antonio Fici andrebbe risolto nel senso della piena compatibilità delle disposizioni in materia di compensi sportivi con il Codice del Terzo Settore in quanto si tratterebbe di norme speciali per le associazioni sportive dilettantistiche, non espressamente derogate dalla riforma: il fondamento di tale interpretazione si rinviene anche nel tenore letterale delll’art.89 del D.Lg.vo n.117/17 che nel coordinare la disciplina del terzo settore con le disposizioni del t.u.i.r. non tocca l’art. 67 comma I lett.m).
Peraltro il Consiglio Nazionale del Terzo Settore sta lavorando proprio in queste settimane al raccordo con il Registro CONI al fine di regolamentare l’iscrizione degli enti sportivi al RUNTS e in tale sede sarebbe attesa la conferma del regime agevolato sui compensi anche a seguito dell’iscrizione al RUNTS.
In ordine alla seconda questione viene da chiedersi se i collaboratori sportivi remunerati con i compensi di cui all’art. 67 comma I lett.m) vadano computati tra i lavoratori ai fini della qualificazione dell’ente come APS o se possano essere calcolati, ancorché remunerati forfetariamente, tra i volontari: come sopra ricordato le attività delle APS devono svolgersi con il prevalente apporto di volontari e il numero dei lavoratori non può essere superiore al cinquanta per cento del numero dei volontari o al cinque per cento del numero degli associati. La formulazione della norma apre a diverse ed incerte interpretazioni, collegate anche alla mancanza di qualificazione giuridica del prestatore sportivo dilettantistico , ed è pertanto auspicabile un intervento del legislatore sul punto.
La risposta dovrebbe arrivare in sede di adozione del decreto attuativo per il funzionamento del RUNTS – il cui testo definitivo è atteso per i primi di marzo. Al momento, la bozza, al vaglio della Conferenza Stato-Regioni, prevede che ai fini del computo dei lavoratori nelle APS si considerino soltanto i lavoratori iscritti nei libri del datore di lavoro e perciò dovrebbero esservi esclusi atleti, allenatori e tecnici remunerati ai sensi dell’art. 67 comma I lett.m).
Vi terremo presto aggiornati!
| di Biancamaria Stivanello, Avvocato del Foro di Padova |