Nell’ambiente vivo e appassionato dello sport dilettantistico, ogni associazione, ogni società sportiva, è molto più di un semplice luogo di allenamento: è una comunità. È fatta di fiducia, di relazioni, di esempi.
È in questo contesto che la recente Riforma dello Sport ha voluto dare ordine e riconoscimento a chi, ogni giorno, contribuisce con il proprio impegno: i collaboratori sportivi.
Allenatori, istruttori, dirigenti: dopo il D.lgs. 36/2021, questi soggetti possono essere lavoratori subordinati, collaboratori coordinati e continuativi o prestatori occasionali, a seconda del rapporto concreto con l’ente.
Non più solo volontari, non più figure indefinite: la riforma li ha finalmente inquadrati, con diritti e doveri precisi.
Ma con il riconoscimento dei ruoli, è emersa anche una nuova consapevolezza: la responsabilità verso i più fragili, verso i giovani atleti, verso chi si affida fiducioso al mondo dello sport.
Nasce da qui la figura del Safeguarder, un presidio di tutela interna, chiamato a vigilare, prevenire, intervenire quando necessario.
Immaginiamo ora un caso concreto, di quelli che non si vorrebbero mai affrontare.
Un collaboratore sportivo, amato dai ragazzi, stimato dai genitori, viene improvvisamente coinvolto in una vicenda giudiziaria grave ma che riguarda la sua sfera personale: una condanna per violenza domestica.
Un fatto estraneo alla palestra, ai campi di allenamento, ma che scuote in profondità la fiducia di chi lo ha scelto come punto di riferimento.
Cosa può fare il Safeguarder?
Cosa può fare l’associazione sportiva che deve tutelare i propri tesserati, senza al tempo stesso travalicare il rispetto dei diritti individuali?
Alcune recenti sentenze della Corte di Cassazione, Sezione Lavoro – in particolare la n. 31866 dell’11 dicembre 2024 sulla violenza domestica, o la n. 4797 del 24 febbraio 2025 sullo stalking – ci insegnano che anche i comportamenti estranei al lavoro, se di particolare gravità morale, possono legittimare l’interruzione di un rapporto.
Non si tratta di punire, ma di proteggere: la fiducia, nell’ambito sportivo, è tutto.
Il Safeguarder, allora, potrà agire con equilibrio:
- Segnalando la situazione agli organi direttivi.
1. Questa sentenza ha confermato la legittimità del licenziamento per giusta causa di un dipendente condannato per violenza domestica nei confronti della moglie. La Corte ha sottolineato che condotte extralavorative di particolare gravità morale possono compromettere irrimediabilmente il rapporto fiduciario
tra lavoratore e datore di lavoro, specialmente quando le mansioni prevedono un contatto diretto con il pubblico.
2. In questa decisione, la Corte ha ritenuto legittimo il licenziamento per giusta causa di un istruttore della polizia municipale condannato per stalking nei confronti della sua ex compagna. La sentenza evidenzia come comportamenti extralavorativi di particolare gravità possano giustificare la risoluzione del rapporto di lavoro, soprattutto quando il ruolo professionale implica responsabilità verso la collettività.
- Proponendo una sospensione cautelare del collaboratore.
- Suggerendo una valutazione interna sulla compatibilità della permanenza del
soggetto nell’ambiente sportivo.
- Richiamando sempre le politiche di safeguarding e i principi fondamentali di tutela dell’integrità e della sicurezza dei tesserati.
Ciò che il Safeguarder non potrà fare, invece, è decidere in autonomia: non può licenziare, non può giudicare penalmente, non può violare la riservatezza.
Il suo è un ruolo di sentinella, non di giudice.
Ma per svolgere questo ruolo così delicato, il Safeguarder deve possedere competenze specifiche. Conoscenze giuridiche di base, capacità di ascolto e comunicazione assertiva, padronanza dei protocolli di prevenzione e gestione delle segnalazioni: sono tutte doti essenziali. Non si tratta solo di conoscere le norme, ma di saperle applicare con umanità, equilibrio e tempestività.
La formazione del Safeguarder non è facoltativa né formale: è il presupposto per una tutela efficace. Deve essere costante, strutturata e mirata, possibilmente affidata a enti qualificati. Inoltre, il Safeguarder ha anche un compito attivo nella formazione interna: deve promuovere, all’interno dell’associazione sportiva, una cultura della prevenzione e della consapevolezza, rivolta a tutti coloro che ruotano intorno all’ambiente sportivo – collaboratori, dirigenti, genitori, atleti. Incontri periodici, materiali informativi, momenti di confronto: sono strumenti attraverso cui costruire un contesto che non solo reagisce ai problemi, ma li anticipa e li disinnesca, rafforzando il senso di comunità e responsabilità condivisa.
In questo delicato equilibrio tra tutela collettiva e diritti individuali, la vicenda descritta ci insegna quanto sia essenziale coltivare una cultura della responsabilità. Lo sport, nella sua essenza più autentica, educa alla lealtà, al rispetto, alla cura dell’altro.
Per questo, i luoghi in cui lo sport si pratica e si vive devono essere presidiati con attenzione e coraggio, anche quando occorre compiere scelte difficili. Perché proteggere l’ambiente sportivo significa proteggere ciò che lo rende davvero formativo: la fiducia. E nello sport come nella vita, la fiducia non è un dettaglio: è la regola fondamentale.
Avv. Francesco Banchelli