Il Presidente è sempre responsabile?

La veste giuridica di associazione non riconosciuta, assunta dalla stragrande maggioranza delle a.s.d., è spesso fonte di preoccupazione per i presidenti a causa delle responsabilità connesse alla carica. Infatti per tali associazioni, in quanto prive di personalità giuridica e di autonomia patrimoniale perfetta, vale la regola dell’art.38 del Codice Civile che per le obbligazioni sociali, di natura contrattuale o anche extracontrattuale, incluse le obbligazioni di natura tributaria,  prevede la responsabilità personale e solidale di coloro che hanno agito in nome e per conto dell’associazione.

Questa disposizione è posta a tutela dei terzi creditori che in mancanza di forme di pubblicità riguardanti il patrimonio dell’ente – come avviene ad esempio con l’iscrizione al registro delle persona giuridiche private per le associazioni riconosciute o al registro imprese per le s.s.d. a responsabilità limitata  –  potrebbero essere ignari della reale consistenza del fondo comune; è per tale ragione che la norma consente di fare affidamento sulla solvibilità di chi ha contrattato con loro.

Ma la responsabilità personale e illimitata deve sempre e automaticamente attribuirsi al presidente in quanto a norma di statuto legale rappresentante dell’associazione?

Non proprio. La norma infatti non prevede alcun automatismo ma trova il suo fondamento nello svolgimento in concreto dell’attività negoziale. Al riguardo la Corte di Cassazione ha da tempo un orientamento consolidato nello stabilire che  “la responsabilità personale e solidale, prevista dall’art. 38 c.c., di colui che agisce in nome e per conto dell’associazione non riconosciuta non è collegata alla mera titolarità della rappresentanza dell’associazione stessa, bensì all’attività negoziale concretamente svolta per suo conto e risoltasi nella creazione di rapporti obbligatori fra l’ente ed i terzi” e che “ tale responsabilità non concerne, neppure in parte, un debito proprio dell’associato, ma ha carattere accessorio, anche se non sussidiario, rispetto alla responsabilità primaria dell’associazione, con la conseguenza che l’obbligazione, avente natura solidale, di colui che ha agito per essa è inquadrabile fra quelle di garanzia ex lege, assimilabili alla fideiussione” (cfr., ex plurimisCass., sez. 3, 24/10/2008, n. 25748Cass., sez. 3, 29/12/2011, n. 29733).  Pertanto non trattandosi di responsabilità automaticamente legata all’assunzione della carica, vige il principio per cui il creditore che invochi in giudizio tale responsabilità “ha l’onere di provare la concreta attività svolta in nome e nell’interesse dell’associazione, non essendo sufficiente la prova in ordine alla carica rivestita all’interno dell’ente “ (Cass., sez. 3, 14/12/2007, n. 26290Cass., sez. 3, 24/10/2008, n. 25748Cass., sez. 3, 25/08/2014, n. 18188; Cass., sez. 6-L, 4/04/2017, n. 8752).

Se tale principio è pacifico e ben chiaro con riguardo alle obbligazioni contrattuali – come ad esempio il pagamento di una fornitura, del canone di locazione, della rata di un finanziamento – qualche importante distinguo va fatto però in relazione alle obbligazioni di natura tributaria.

Per i debiti di imposta, anche a seguito di accertamenti svolti dall’agenzia delle entrate, che sorgono ex lege  e non su base contrattuale, il riferimento all’ ”aver agito in nome e per conto dell’associazione” assume infatti una connotazione in parte diversa.

A questo proposito le numerose decisioni della Corte di Cassazione che hanno affrontato la questione, pur ribadendo che la responsabilità non è ricollegata automaticamente alla carica, hanno precisato che la responsabilità grava sul soggetto che, in forza del ruolo rivestito, abbia “diretto la complessiva gestione associativa” ricorrendo a un criterio di direzione e ingerenza effettiva. In base a tale assunto, i giudici hanno quindi limitato la responsabilità personale del soggetto investito di cariche sociali alle sole obbligazioni che siano concretamente insorte nel periodo di relativa investitura (Cass., sez. 5, 12/03/2007, n. 5746; Cass., sez. 6-5, 19/06/2015, n. 12473; Cass., sez. 5, 15/10/2018, n. 25650Cass., sez. 6-5, 29/01/2018, n. 2169Cass., sez. 6-5, 24/02/2020, n. 4747). Tuttavia nell’ipotesi di avvicendamento nella carica sociale di un’associazione non riconosciuta è stato ritenuto – anche per evitare strumentalizzazioni elusive –  che il rappresentante legale subentrante non può andare esente, ai fini fiscali, da responsabilità solidale con l’associazione soltanto per la mancata ingerenza nella pregressa gestione dell’ente, in quanto è obbligato a redigere ed a presentare la dichiarazione dei redditi e ad operare, ove necessario, le rettifiche della stessa: ne deriva che, per l’accertamento della responsabilità personale e solidale del legale rappresentante dell’associazione non riconosciuta con quest’ultima, occorre tenere conto non solo della partecipazione di tale soggetto all’attività dell’ente, ma anche del corretto adempimento degli obblighi tributari incombenti sul medesimo (Cass., sez. 6-5, 23/02/2018, n. 4478; Cass., sez. 6-5, 28/09/2018, n. 22861). In definitiva, secondo tali pronunce, il presidente che subentra in corso d’anno è responsabile anche per la gestione relativa all’anno di imposta precedente se firmatario delle dichiarazioni riferite a tale periodo, nonostante non avesse svolto alcun tipo di ingerenza o direzione.

La responsabilità per debiti tributari, anche se legata alla complessiva direzione dell’ente rimane comunque legata all’attività verso i terzi e infatti in passato la Cassazione ha affermato che non sussiste nei confronti degli amministratori che abbiano deliberato l’atto fonte di obbligazione, ma non abbiano agito all’esterno spendendo il nome dell’associazione (Cass. 4710/81) e comunque ad un criterio di effettività : più di recente la Corte ha escluso la responsabilità di consiglieri che in seno al direttivo avevano svolto un ruolo del tutto irrisorio e marginale  (Cass. 1489/19).

Dal principio di effettività dell’ingerenza si erano invece allontanate  alcune decisioni – in particolare Cass. 1602/19 – laddove affermava che  “per le obbligazioni tributarie di chi svolge compiti di amministrazione e di gestione nell’ambito dell’associazione  deve ritenersi sussistere un principio di presunzione idoneo a far supporre che i predetti soggetti concorrano nelle decisioni volte alla creazione di rapporti obbligatori di natura tributaria per conto dell’associazione” : in tal senso il principio contenuto in tale pronuncia si contrappone anche al tenore dell’art.38 del Codice Civile che esclude qualsiasi automatismo e quindi qualsiasi presunzione con riguardo alla carica formalmente assunta all’interno dell’associazione.

Con una recente decisione  – Cass. civ., sez.V, 1.3.2022. n.6626 – la Suprema Corte nell’accogliere il ricorso dell’associazione e del suo presidente  ha riaffermato il principio consolidato, in base al quale non va applicato alcun automatismo nemmeno alle obbligazioni tributarie, ribadendo che si deve invece valutare l’effettività della direzione e dell’ingerenza nella gestione.

Sulla scorta di tale principio ha quindi annullato la decisione della Commissione Tributaria Regionale  perché aver ritenuto dimostrata la responsabilità solidale ex art. 38 c.c. senza previamente accertare, con specifico riferimento alla posizione del ricorrente, quale ruolo egli avesse rivestito all’interno delle associazioni coinvolte nell’accertamento e se e in che misura egli avesse partecipato ad operazioni di gestione in nome e per conto delle stesse.

Rispetto dunque ai precedenti arresti che sembravano volti all’affermazione di una responsabilità in via presuntiva, con una eccessiva e preoccupante  dilatazione del concetto di gestione complessiva dell’ente, la più recente pronuncia ritorna nel solco della precedente elaborazione giurisprudenziale. 

Segnaliamo però che nonostante la Corte abbia ribadito che l’assunzione della carica non comporta di per sé la responsabilità personale per debiti di imposta e relative sanzioni, vi è un passaggio importante in tema di onere della prova.  Afferma infatti la Corte che chi invoca in giudizio la responsabilità personale della persona fisica ha l’onere della prova degli elementi da cui desumere la sua qualità di rappresentante e/o di gestore di tutta o di parte dell’attività dell’associazione mentre  grava invece sul soggetto chiamato a rispondere delle obbligazioni ex lege dare prova della sua estraneità alla gestione dell’ente.

In definitiva, seppure alla luce di tali principi e con le diverse declinazioni della norma in riferimento alle obbligazioni contrattuali o di natura tributaria, coloro che rivestono ruoli dirigenziali assumono concretamente il rischio di essere chiamati a rispondere per le obbligazioni sociali (e in certi casi, come si è visto sopra, anche in relazioni alla gestione precedente).

Andrebbe quindi sempre attentamente valutata da parte dei sodalizi l’opportunità di acquistare la personalità giuridica che consente all’associazione – al pari di una società di capitali o di una fondazione – di limitare le responsabilità verso i terzi al patrimonio dell’ente, mantenendo inalterati il carattere e la natura di ente associativo, la struttura, l’organizzazione e le finalità non lucrative perseguite.

La procedura ordinaria per il riconoscimento – regolata dal DPR 361/2000 – prevede che il registro delle persone giuridiche sia tenuto presso la prefettura o presso le regioni per le materie attribuite alla competenza delle regioni, tra le quali rientra lo sport. La procedura è in generale lunga, onerosa e complessa anche e soprattutto perché le singole regioni hanno individuato parametri e criteri diversi per valutare la consistenza e la sufficienza del patrimonio a raggiungere lo scopo.

La riforma dello sport però – come già la riforma del terzo settore  – ha introdotto un procedimento in deroga, estremamente semplificato per l’acquisto della personalità giuridica in capo ai sodalizi sportivi che non saranno più obbligati a seguire l’iter ordinario.

IL D.Lgs. n.39/2021 che ha istituito il nuovo  registro nazionale delle attività sportive dilettantistiche  e che troverà applicazione dal 31 agosto 2022, prevede infatti che la personalità giuridica si possa conseguire attraverso apposita istanza al momento dell’iscrizione al nuovo registro tenuto dal Dipartimento dello sport (e che andrà a sostituire l’attuale registro Coni)

Il procedimento non prevede la consistenza di un patrimonio minimo, a differenza invece di quanto stabilito per le associazioni che siano enti del terzo settore per le quali ai sensi dell’art.22 del D.Lgs. n.117/17  si richiede una somma liquida e disponibile non inferiore a 15.000 euro o la disponibilità di beni il cui corrispondente valore risulti da una perizia giurata. L’iscrizione con personalità giuridica al nuovo registro delle attività sportive dilettantistiche va richiesta ai sensi dell’art.14 del D.Lgs. n.39/2021 dal notaio che ha ricevuto l’atto costitutivo  (o il verbale di associazione già costituita che delibera con le dovute forme e maggioranze la volontà di assumere la veste di associazione riconosciuta) previa verifica della sussistenza delle condizioni previste dalla legge per la costituzione dell’ente e dalle disposizioni riferite alla natura dilettantistica.

|di Biancamaria Stivanello, Avvocato del Foro di Padova|

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