Ente non commerciale e qualificazione dell’attività svolta: un binomio dissolubile

Analisi a margine della Corte di Cassazione ordinanza n. 8182 del 27 aprile 2020.

Uno dei temi centrali quando si parla di associazioni riguarda la natura dell’ente e del rapporto bidirezionale con la qualificazione delle attività dalla stessa poste in essere.

È su questo importante argomento che in pieno periodo emergenza Covid si è espressa la Cassazione.

Il caso

L’Agenzia delle Entrate a seguito di accertamento, presso la sede sociale di una Associazione Sportivo Dilettantistica, ha rilevato la violazione e la falsa applicazione degli artt.148 e 149 TUIR.

Dalle contestazioni avanzate è emerso come l’ASD svolgeva le sue attività di nuoto acquisendo corrispettivi non da soci e tesserati, ma da ordinari clienti. L’obbiettivo dell’accertatore è stato chiaro fin da subito: ottenere il disconoscimento della qualifica di ente non commerciale e il pagamento delle imposte dovute per l’attività di natura commerciale svolta.

Il primo e il secondo grado

Avverso l’avviso di accertamento è stato poi presentato dall’associazione ricorso in Commissione Provinciale. A seguito della sentenza di primo grado favorevole alla ricorrente ASD l’Agenzia delle Entrate è ricorsa in appello alla Commissione Regionale Lazio[1]. L’appello, confermando il primo grado di giudizio, è stato respinto reputando sufficienti le prove apportate dalla ASD sulla genuinità dell’attività svolta. L’Agenzia è quindi alla fine ricorsa al giudizio della Corte di Cassazione, che, ricordiamo, è chiamata ad emettere un mero giudizio di legittimità  su l’esatta osservanza e l’uniforme interpretazione della legge. Dopo una attenta analisi della controversia anche la Suprema Corte ha convalidato i precedenti giudizi reputando il ricorso da parte dell’Agenzia delle Entrate inammissibile.

Cassazione

Gli ermellini ritenendo correttamente effettuata la valutazione della documentazione apportata in giudizio, tra cui l’affiliazione a Federazione Italiana Nuoto riconosciuta dal CONI, nonché la partecipazione degli atleti della ASD a gare federali e dunque il rispetto dell’art.148 del TUIR sotto il profilo formale si sono soffermati sulla distinzione tra qualifica dell’ente non commerciale o commerciate e dell’attività da esso svolta.

Partendo dall’assunto che le Associazioni Sportive Dilettantistiche sono annoverate tra gli enti non commerciali e dunque esclusi dall’applicazione dell’Ires[2], la Corte fornisce una importante lettura sul punto affermando che “qualora si è in presenza di un ente non commerciale trova applicazione il regime favorevole previsto dall’art. 143 TUIR in base al quale non si considerano attività commerciali le prestazioni di servizi non rientranti nell’art. 2195 c.c. rese in conformità alle finalità istituzionali dell’ente senza specifica organizzazione e verso pagamento di corrispettivi che non eccedono i costi di diretta imputazione”.

Continuando nella lettura fornita, la Cassazione evidenzia come l’art. 148 comma terzo del TUIR prevede per le ASD, al rispetto di particolari condizioni, una decommercializzazione specifica per quelle “attività svolte in diretta attuazione degli scopi istituzionali”.

Gli ermellini, concludendo l’analisi, ricordano come le Asd per espressa previsione di legge – art. 149 tuir comma 4 – sono enti non commerciali “di diritto”; nel caso venisse riscontrata la mancanza dei requisiti previsti dal 148 comma terzo, TUIR e conseguentemente venisse ricondotta tra le attività di tipo commerciale, l’associazione nel suo complesso non perderebbe comunque la propria natura di ente non commerciale, potendo infatti continuare ad usufruire delle altre agevolazioni riconosciute dall’ordinamento, come compensi sportivi e L.398/91.

[1] Tribunale Regionale Lazio: sentenza n. 196/14/12, depositata il 22/03/2012

[2] Commi 4-5 Art.73, dpr n.917 del 1986

|di Gioia Baldini, Esperta Fiscalista|

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