Chiarimento sul limite di 400.000 € per i proventi commerciali

Con la recente sentenza 15 luglio 2022, n. 22440, la Corte di Cassazione si è espressa in merito al limite di € 400.000,00 previsto dall’art. 1, comma 1, L. n. 398/1991, relativo ai proventi da attività commerciali conseguiti da Associazioni Sportive Dilettantistiche (ASD) e Società Sportive Dilettantistiche (SSD).

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Come noto, per godere delle agevolazioni fiscali di cui alla L. n. 398/1991, le ASD e le SSD, nel periodo d’imposta precedente, non devono aver conseguito, dall’esercizio di attività commerciali, proventi per un importo superiore ad € 400.000,00.

Come più volte affermato (circolare MEF n. 1/1992; Decreto MEF 18 maggio 1995; risoluzione AE n. 63/2006; circolare AE n. 18/2018), ai fini della determinazione dei proventi rientranti nel limite di € 400.000,00 fissato dalla legge, deve essere assunto, quale riferimento temporale, il periodo d’imposta coincidente con il precedente esercizio sociale dell’ente sportivo dilettantistico (che, a seconda dei casi, può o meno coincidere con l’anno solare). Gli enti di nuova costituzione dovranno prevedere di conseguire proventi di natura commerciale inferiori ad € 400.000,00 nel periodo d’imposta in cui si costituiscono. In relazione agli stessi, si è precisato che “nel caso in cui il primo periodo di gestione […] risulti inferiore all’anno solare, il limite di importo cui far riferimento si determina a stima rapportandolo al detto periodo computato a giorni” (Decreto MEF 18 maggio 1995).

Nel caso di superamento del limite di € 400.000,00, le disposizioni della L. n. 398/1991 cessano di applicarsi a partire dal mese successivo a quello in cui il limite è stato superato.

Nei proventi rilevanti ai fini del calcolo del plafond previsto dall’art. 1, comma 1, L. n. 398/1991, sono ricompresi:

– i proventi derivanti dallo svolgimento di attività commerciali (ossia i proventi che costituiscono ricavi, ai sensi dell’art. 85, D.P.R. n. 917/1986);

– le sopravvenienze attive di cui all’art. 88 del D.P.R. n. 917/1986, purché relative all’attività commerciale esercitata dall’ente sportivo dilettantistico.

Sono invece esclusi:

– i proventi derivanti dalle attività aventi natura non commerciale (artt. 143 e 148 del D.P.R. n. 917/1986);

– le plusvalenze patrimoniali (relative ai beni dell’impresa) di cui all’art. 86, D.P.R. n. 917/1896, essendo le stesse escluse, ai sensi dell’art. 2, comma 5, L. n. 398/1991, dalla determinazione forfetaria del reddito, per essere assoggettate a tassazione in aggiunta al reddito così determinato (Decreto MEF 18 maggio 1995 e circolare AE n. 18/2018);

– il premio di addestramento e formazione tecnica di cui all’art. 6 della L. n. 91/1981 (che, dal gennaio 2023, sarà sostituito dall’art. 31 del D.Lgs. n. 36/2021), il quale, ai sensi dell’art. 3, L. n. 398/1991, non concorre alla determinazione del reddito degli enti sportivi dilettantistici che abbiano esercitato l’opzione relativa a tale legge.

Individuati quali proventi rilevino ai fini del calcolo del plafond di cui all’art. 1, comma 1, L. n. 398/1991, nonché delimitato il periodo temporale cui farsi riferimento, resta da vedere quando tali proventi debbano considerarsi conseguiti: se al momento della loro “maturazione”, secondo il principio di competenza, o se al momento del loro incasso, secondo il principio di cassa. La questione si complica ulteriormente se si prendono in considerazione le norme che regolano l’IVA. Ai fini di tale imposta, è infatti possibile che un’operazione si consideri effettuata anche in assenza di pagamento del corrispettivo (art. 6, D.P.R. n. 633/1972).

Al fine di fornire chiarimenti relativi a quale criterio (cassa o competenza) applicare ai proventi conseguiti nell’esercizio di attività commerciali da parte di enti sportivi dilettantistici, già a partire dall’anno successivo all’introduzione della L. n. 398/1991, si è affermato che, “stante la particolarità della disciplina introdotta dalla L. n. 398 per i soggetti ivi indicati, ai fini della individuazione dei proventi in argomento deve aversi riguardo al criterio di cassa” (circolare MEF 11 febbraio 1992, n. 1).

Successivamente, lo stesso Ministero delle Finanze, con Decreto 18 maggio 1995, pur confermando che “per l’individuazione dei proventi conseguiti nell’esercizio di attività commerciali deve aversi riguardo al criterio di cassa”, ha fatto salvo “il principio voluto dalla normativa IVA secondo cui vanno computati gli introiti fatturati ancorché non riscossi”. In senso conforme a tale ultima interpretazione, la circolare dell’Agenzia delle entrate n. 18/2018, in cui si legge che, sebbene ai fini dell’individuazione dei proventi conseguiti nell’esercizio di attività commerciali da parte di ASD e SSD debba “aversi riguardo al momento in cui è percepito il corrispettivo, […] qualora anteriormente alla percezione del corrispettivo sia emessa fattura, andranno in tale ipotesi computati anche gli introiti fatturati ancorché non riscossi”. Ciò ai soli fini della determinazione del plafond e dell’applicazione del regime forfetario di cui alla legge n. 398/1991 (ferme restando le regole civilistiche relative alla tenuta delle scritture contabili ed alla redazione del bilancio, nonché i rispettivi principi contabili).

Il susseguirsi nel tempo di interpretazioni fornite, peraltro non del tutto coerentemente, dall’Amministrazione finanziaria, non ha certamente contribuito a fornire maggior chiarezza. In tale ambito, è intervenuta la Corte di Cassazione, la quale con sentenza 15 luglio 2022, n. 22440, ha preisato che, ai fini del computo del limite di € 400.000,00 previsto dall’art. 1, comma 1, L. n. 398/1991, “trova applicazione il criterio di cassa, con conseguente esclusione dei corrispettivi fatturati ma non ancora incassati, giustificandosi tale criterio con le particolari finalità, sottese alla possibile opzione per il regime agevolato, di tutela delle aggregazioni sociali senza scopo di lucro che perseguono finalità socialmente rilevanti”. La pronuncia della Suprema Corte è da accogliere positivamente, in quanto, da un lato, ha risolto una questione dubbia, che fino ad ora non aveva ricevuto grande attenzione da parte della giurisprudenza, dall’altro, è giunta a conclusioni coerenti con la ratio che ispira la disciplina fiscale degli enti sportivi dilettantistici.

| di Matteo Clò, avvocato in Modena |

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