L’esenzione contributiva dei compensi erogati ai collaboratori da enti sportivi dilettantistici alla luce delle recenti sentenze della Corte di Cassazione

Nel mese di dicembre 2021 e nei primi mesi del 2022 la Corte di Cassazione ha emesso numerose sentenze, tutte conformi tra loro, relativamente alla posizione previdenziale dei soggetti che prestano collaborazioni sportive (o a sostegno dell’attività sportiva, anche se consistenti in attività di carattere amministrativo-gestionale) in favore di enti sportivi dilettantistici, di cui all’art. 67, comma 1, lett. m), D.P.R. n. 917/1986 (senza pretesa di completezza, Cass., 23 dicembre 2021, nn. 41397, 41418, 41419 e 41420; Cass., 24 dicembre 2021, nn. 41467 e 41468; Cass., 27 dicembre 2021, n. 41570; Cass., 14 gennaio 2022, nn. 1091, 1092 e 1095; Cass., 24 gennaio 2022, nn. 2000, 2001, 2002, 2004 e 2008; Cass., 8 febbraio 2022, nn. 3964 e 3965).

Le controversie da cui scaturiscono le sentenze della Suprema Corte sono nate in seguito alle contestazioni, rivolte dall’ENPALS (che dal gennaio 2012 è confluito nell’INPS) a diversi enti sportivi dilettantistici, relative all’omesso versamento di contributi previdenziali riguardanti le posizioni lavorative di istruttori sportivi e collaboratori amministrativo-gestionali. In particolare, l’ENPALS, in ragione dell’estensione dell’ambito di applicazione del D.Lgs. C.P.S. n. 708/1947, aveva ritenuto corretto assoggettare le collaborazioni sportive dilettantistiche al relativo obbligo previdenziale. L’art. 3, comma 1, D.Lgs. C.P.S. n. 708/1947, così come integrato e rimodulato, da ultimo, dal D.M. 15 marzo 2005, sancisce infatti l’obbligo di iscrizione all’ENPALS, con conseguente assoggettamento agli obblighi previdenziali – a prescindere della natura subordinata, parasubordinata o autonoma del rapporto di lavoro – di «impiegati, operai, istruttori e addetti agli impianti e circoli sportivi di qualsiasi genere, palestre, sale fitness, stadi, sferisteri, campi sportivi, autodromi», nonché di «direttori tecnici, massaggiatori, istruttori e dipendenti delle società sportive».

La questione riguarda dunque la possibilità di estendere l’obbligo previdenziale alle collaborazioni sportive ed amministrativo-gestionali, svolte in favore di enti sportivi dilettantistici, federazioni sportive ed enti di promozione sportiva, di cui all’art. 67, comma 1, lett. m), del D.P.R. n. 917/1986; collaborazioni che, come è noto, ai sensi del successivo art. 69, comma 2, sono esenti da imposta qualora retribuite nel limite annuo di € 10.000,00.

Ai sensi dell’art. 67, comma 1, «sono redditi diversi se non costituiscono redditi di capitale ovvero se non sono conseguiti nell’esercizio di arti e professioni o di imprese commerciali o di società in nome collettivo e in accomandita semplice, né in relazione alla qualità di lavoratore dipendente: […] m) le indennità di trasferta, i rimborsi forfetari di spesa, i premi e i compensi erogati ai direttori artistici ed ai collaboratori tecnici per prestazioni di natura non professionale da parte di cori, bande musicali e filo-drammatiche che perseguono finalità dilettantistiche, e quelli erogati nell’esercizio diretto di attività sportive dilettantistiche dal CONI, dalla società Sport e salute Spa, dalle Federazioni sportive nazionali, dall’Unione Nazionale per l’Incremento delle Razze Equine (UNIRE), dagli enti di promozione sportiva, dagli enti VSS (Verband der Südtiroler Sportvereine Federazione delle associazioni sportive della Provincia autonoma di Bolzano) e USSA (Unione delle società sportive altoatesine) operanti prevalentemente nella provincia autonoma di Bolzano e da qualunque organismo, comunque denominato, che persegua finalità sportive dilettantistiche e che da essi sia riconosciuto. Tale disposizione si applica anche ai rapporti di collaborazione coordinata e continuativa di carattere amministrativo-gestionale di natura non professionale resi in favore di società e associazioni sportive dilettantistiche».

L’art. 35, comma 5, D.L. n. 207/2008, ha chiarito che nell’«esercizio diretto di attività sportive dilettantistiche» di cui all’art. 67, comma 1, lett. m), sono ricomprese la formazione, la didattica, la preparazione e l’assistenza all’attività sportiva dilettantistica. Sia l’ENPALS, con circolare n. 18/2009, sia l’Agenzia delle Entrate, con risoluzione 17 maggio 2010, n. 38/E, hanno ritenuto che l’intervento normativo recato dal predetto art. 35, comma 5, D.L. n. 207/2008, abbia ampliato il novero delle prestazioni di cui all’art. 67, comma 1, lett. m), del D.P.R. n. 917/1986, eliminando il requisito del collegamento fra l’attività resa dal percipiente e l’effettuazione della manifestazione sportiva. Ne consegue che godono dell’agevolazione di cui agli artt. 67 e 69 del D.P.R. n. 917/1986 anche i soggetti che non svolgono un’attività durante (o finalizzata ad) una determinata manifestazione sportiva, ma rendono le prestazioni indicate – formazione, didattica, preparazione e assistenza all’attività sportiva dilettantistica – a prescindere dalla realizzazione di una manifestazione sportiva.

Dalla lettura dell’art. 67, comma 1, lett. m), emerge come siano riconducibili all’ambito di applicazione della medesima disposizione solamente le attività, aventi natura non professionale, diverse da quelle esercitate nell’ambito di un’arte o di una professione (lavoro autonomo), da quelle relative all’esercizio di un’attività d’impresa, e, infine, da quelle esercitate in relazione alla qualità di lavoratore dipendente.

Come precisato dall’ENPALS nella circolare n. 13/2006, sono da considerarsi esercitate nell’ambito di un’arte o professione quelle attività che: 1) per essere svolte, necessitano di conoscenze tecnico-specialistiche; 2) sono svolte abitualmente, ancorché non in via esclusiva né preminente; 3) comportano la percezione di somme non marginali. Nella medesima circolare, si è inoltre chiarito come il termine “abitualità” indichi un’attività caratterizzata da ripetitività, stabilità e sistematicità dei comportamenti, avendo esso significato contrario a quello di “occasionalità”, che è invece delineato dai caratteri della contingenza, dell’eventualità e della secondarietà.

In ordine alla natura non professionale dell’attività svolta dai collaboratori di cui all’art. 67, comma 1, lett. m), l’Ispettorato del Lavoro, con circolare 1 dicembre 2016, ha precisato che, «le qualifiche acquisite dai singoli soggetti attraverso appositi corsi di formazione promossi dalle singole federazioni, nonché la loro iscrizione in albi o elenchi tenuti dalle Federazioni o dal CONI attestanti la capacità di esercitare direttamente attività di formazione, non possono essere considerati di per sé elementi per ricondurre i redditi percepiti da tali soggetti tra quelli aventi “natura professionale”».

In assenza di una specifica disciplina che regoli i rapporti intercorrenti tra gli enti sportivi dilettantistici ed i soggetti che intervengono a vario titolo nello svolgimento delle attività che caratterizzano gli stessi, si è ritenuto che la qualifica come redditi diversi dei compensi derivanti dalle attività indicate nell’art. 67, comma 1, lett. m), comporti l’esclusione degli stessi sia dal prelievo assicurativo (circolare INAIL 18 marzo 2004, n. 22), sia da quello previdenziale (circolari INPS nn. 32/2001, 42/2003 e 9/2004; in tal senso si è espressa anche la Cassazione con le sentenze nn. 11492, 21535 e 24365 del 2019 e n. 11375 del 2020).

Con le numerose sentenze emesse tra la fine del 2021 e l’inizio del 2022, la Corte di Cassazione ha deciso di dare continuità a tale orientamento.

Ciò non significa tuttavia, come peraltro sottolineato dalla medesima Corte, che l’art. 67, comma 1, lett. m), D.P.R. n. 917/1988, individui un’area di automatica esenzione dall’obbligo contributivo invocabile dagli enti sportivi formalmente qualificati come dilettantistici, a prescindere dall’effettiva e concreta prova della presenza dei requisiti richiesti dalla citata disposizione.

La Corte ha infatti ritenuto che l’art. 67, comma 1, lett. m), D.P.R. n. 917/1986, determini effetti eccettuativi anche rispetto all’obbligo contributivo previdenziale, non risultando soggette a tale obbligo le prestazioni in esso indicate, a condizione che chi invoca l’esenzione dimostri che:

– le prestazioni siano compensate nei limiti monetari di cui all’art. 69, comma 2, del D.P.R. n. 917/1986 (ovvero fino ad € 10.000,00 per ciascun periodo d’imposta);

– le prestazioni rese non siano compensate in relazione all’attività di offerta del servizio sportivo svolta da lavoratori autonomi o da imprese commerciali o da società in nome collettivo e in accomandita semplice, né in relazione alla qualità di lavoratore dipendente assunta dal prestatore;

– tali prestazioni siano rese in favore di associazioni o società che non solo risultano qualificate come dilettantistiche, ma che in concreto posseggono tale requisito di natura sostanziale, ossia svolgono effettivamente l’attività senza fine di lucro e, quindi, operano concretamente in modo conforme a quanto indicato nelle clausole dell’atto costitutivo e dello statuto, il cui onere probatorio ricade sulla parte contribuente, e non può ritenersi soddisfatto dal solo dato dell’affiliazione ad una federazione sportiva o al CONI;

– le prestazioni siano rese nell’esercizio diretto di attività sportive dilettantistiche e cioè che siano rese in ragione del vincolo associativo esistente tra il prestatore e l’associazione o la società;

– il soggetto che rende la prestazione e riceve il compenso non svolga tale attività con carattere di professionalità e cioè in corrispondenza all’arte o professione abitualmente esercitata anche se in modo non esclusivo.

In relazione a quanto affermato dalla Corte di Cassazione, sorge spontaneo interrogarsi relativamente al caso in cui il limite di € 10.000,00, posto dall’art. 69, comma 2, D.P.R. n. 917/1986, venga superato. Nessun problema parrebbe porsi dal punto di vista tributario, in quanto i redditi rimarrebbero classificabili come redditi diversi, con applicazione – come previsto dall’art. 25 della L. 13 maggio 1999, n. 133 – di una ritenuta a titolo d’imposta pari al 23% per la parte di reddito compresa tra € 10.000,00 ed € 30.658,28 ed a titolo d’acconto per la parte che eccede tale ultimo importo.

Permanendo la classificazione come redditi diversi, i redditi percepiti dai collaboratori sportivi, anche di importo superiore ad € 10.000,00, sembrerebbero essere esclusi dall’obbligo contributivo. Ciò tuttavia potrebbe porsi in contrasto con quanto affermato dalla Corte di Cassazione nelle sentenze in commento, la quale peraltro pare aver espressamente condizionato l’esonero contributivo al rispetto del limite posto dall’art. 69, comma 2, D.P.R. n. 917/1986.

Evidenti sono, infatti, le difficoltà relative all’esclusione, a fronte della percezione di un reddito annuo d’ammontare maggiore di € 10.000,00, dei requisiti di abitualità e professionalità. Ciò specialmente se si tiene in considerazione quanto affermato dall’ENPALS nella circolare n. 13/2006, ovvero, da un lato, che «si può parlare di reddito professionale laddove […] la misura delle somme complessivamente percepite non abbia caratteristiche di marginalità»; dall’altro, che «la professionalità ricorre anche se vi siano normali interruzioni nell’esercizio dell’attività. […] attività professionale non significa attività esclusiva e neppure attività prevalente; la professionalità non è infatti incompatibile con il compimento di un singolo affare, in quanto lo stesso può implicare una molteplicità di atti tali da fare assumere all’attività carattere stabile».

A ciò si aggiunga che i proventi derivanti dall’attività prestata in favore degli enti sportivi dilettantistici, per poter essere qualificati come redditi diversi, e pertanto esclusi dall’obbligo previdenziale, non devono derivare nemmeno da prestazioni di lavoro subordinato. Pertanto, l’esonero contributivo sembra altresì da escludere ogni qual volta ci si trovi dinnanzi ad una di quelle attività prestate, «con qualsiasi qualifica, alle dipendenze e sotto la direzione di altri», di cui all’art. 49 del D.P.R. n. 917/1986, in tema di redditi da lavoro dipendente.

|di Matteo Clò, Avvocato in Modena|

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